I laici nella storia delle istituzioni di diritto canonico

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Ripercorrere la bimillenaria storia della Chiesa per trattare la figura e il ruolo dei laici dal punto di vista storico giuridico risulta illuminante per comprenderne la disciplina nella legislazione canonistica attuale: il tema meriterebbe degli approfondimenti. Alcuni cenni, che i limiti del presente lavoro consentono, suggeriranno come dall’origine la Chiesa vive e cresce con l’apporto di tutti i suoi membri, tra diverse vocazioni e istituzioni partecipi della stessa missione, con doveri e diritti che sotto la mozione dello Spirito Santo si configurano nelle sue istituzioni a vantaggio della Chiesa e dell’umanità.

Nell’antichità cristiana

I fedeli si designavano con l’appellativo di “santi”, fratelli, discepoli. Erano coloro che incontrato il Cristo, ricevuto l’annuncio del Vangelo, ne facevano il codice della loro vita, amando e servendo Dio: l’ascolto della Parola e l’annuncio formava il popolo di Dio. Il primo testo in cui compare la parola laico è una Lettera di Clemente romano ai Corinzi della fine del primo secolo, dove egli indica che la comunità cristiana deve essere ordinata (distingue facendo riferimento al giudaismo: sommo sacerdote, sacerdoti, leviti, laici).

I laici, immersi nelle realtà del mondo, all’interno della compagine ecclesiale sono coloro che appartengono al popolo: i battezzati che non rivestono alcuna funzione nella gerarchia ecclesiastica. Etimologicamente San Girolamo attribuisce il termine laici alla radice greca λαός (popolo). Fin dai primi tempi del cristianesimo nella comunità cristiana si vanno delineando i tratti della sua composizione: una struttura gerarchica e un popolo laico.

Nei laici si trovano carismi spirituali diversi che corrispondono a vocazioni particolari. Le donne vi partecipano come gli uomini [1]. I primi teologi furono laici, si ricordino Giustino o Tertulliano.

Varia è anche la partecipazione alla vita della Chiesa, alcuni vi partecipano pienamente, altri in parte (catecumeni e penitenti): ci sono vergini e asceti che cercano di realizzare la perfezione evangelica, sposi che cercano di realizzare l’ideale cristiano. In prima linea nella testimonianza della fede “i confessori” e i martiri.

Nel IV secolo quando le istituzioni fondamentali della Chiesa sono già costituite la distinzione tra clero e laici è netta. Ciò non impedisce che i laici partecipino all’amministrazione, al governo e alla vita della Chiesa.

I Padri della Chiesa hanno un alto concetto dei laici. Agostino chiamava i contadini africani “Chiesa viva”; i padri di famiglia “compagni nell’episcopato”, “coepiscopi”. Giovanni Crisostomo sosteneva che il monaco e il cristiano vivente nel mondo hanno lo stesso obbligo di tendere alla perfezione.

Passata l’epoca apostolica, in cui la designazione episcopale è fatta dagli Apostoli e “dagli uomini apostolici” cioè quelli che gli Apostoli avevano designato [2], la nomina del Vescovo spetta al clero nella designazione formale, al popolo nella approvazione e nel consenso. Il suffragio del popolo è approvazione della persona più degna spesso già indicata dalle circostanze. Significativo sul punto è un testo di Ippolito di Roma (Trad. apost., 2).

Fino al V secolo l’elezione del vescovo prevede il suffragium del popolo. I laici sono presenti sia nella lotta contro le eresie sia nella difesa di Papi e Vescovi perseguitati, mantenendosi a loro fedeli.

Nell’impero d’oriente cristiano si trovano donne che animano il movimento di resistenza calcedonese, alla corte dell’imperatore Anastasio, opponendosi alla sua politica filo-nomofisita (la principessa Giuliana Anicia) [3]. La presenza dei laici nelle assemblee conciliari non era eccezionale.

Nei concili provinciali africani dei primi secoli si trovano Vescovi (di particolare nota è San Cipriano) che sostengono l’utilità di far partecipare i laici ai lavori conciliari per “studiare in comune (con essi) quelle che sono le esigenze del governo della Chiesa, in modo da prendere la decisione giusta dopo averla esaminata tutti insieme”.

Su questioni come i lapsi, gli apostati che si pentono, non mancano testimonianze di Vescovi che desiderano conoscere il pensiero dei fedeli laici sulla reintegrazione di questi peccatori nella comunità. Nel concilio di Nicea Atanasio ancora solo diacono può prendere la parola. Al concilio di Epaona (517) il Vescovo di Lione dichiara di permettere ai laici di assistere al concilio perché tutto ciò che deve essere regolato dai Vescovi il popolo lo possa conoscere. Fino al VII secolo nei sinodi spagnoli intervenivano i laici in qualità di membri della Chiesa.

Di particolare interesse il can. 13 del concilio di Tarragona (517) che disponeva che i vescovi fossero accompagnati oltre che dai presbiteri della diocesi da qualcuno dei figli secolari della Chiesa. Nel IV concilio di Toledo (633) dove è disposto nel cerimoniale per l’ingresso nell’aula sinodale il posto dei laici, si afferma che la presenza dei laici ha come scopo che essi facciano conoscere gli eventuali abusi [4]. Nei concili francesi e tedeschi i laici dopo la lettura dei canoni rispondono in coro: “Amen!”.

Fin dal III e dal IV secolo nell’Africa latina troviamo un’istituzione amministrativa formata da laici e subordinata all’autorità del Vescovo, i seniores laici che cooperano con il clero nella gestione del patrimonio ecclesiastico. I laici facevano parte dei tribunali ecclesiastici. Cessato il periodo delle persecuzioni dei cristiani nell’epoca della Chiesa imperiale (313-692) [5] emerge la distinzione tra chierici, monaci, laici.

Nella cristianità medievale

L’epoca è articolata e nelle fonti del diritto canonico si trova una modesta normativa riguardo ai laici. Graziano riporta un testo di San Girolamo: Duo sunt genera christianorum per spiegare che i fedeli laici solo coloro a cui è permesso possedere beni temporali per i propri bisogni, che sono autorizzati a sposarsi e che possono essere salvati se evitano i vizi e fanno del bene. In quest’epoca in cui Chiesa e società temporale sono unite a formare una unica cristianità, tra i laici, alcuni assumono particolare importanza: essi sono re, principi e imperatori.

L’imperatore traeva prestigio e autorità presso il popolo per il suo carattere sacro. La cerimonia della consacrazione imperiale assomigliava per i riti della liturgia alla consacrazione sacerdotale ed episcopale. La figura di Carlo Magno è emblematica al riguardo: riuniva concili, promulgava canoni e decreti liturgici, faceva “Capitularia”, il tutto con il consenso e il riconoscimento di clero, signori e popolo. Occorre precisare che si riconoscevano anche dei limiti a questo diritto. Infatti, non poteva essere toccato quel che atteneva al diritto divino e al dogma, tuttavia la storia attesta che varcare detti limiti era però facile, particolarmente dopo il grande scisma.

La nascita di istituti giuridici nuovi, influenzati da una struttura economico e sociale di tipo feudale, avrà ripercussioni notevoli per il ruolo dei laici. Si tratta del fenomeno delle chiese private (Eigenkirche). La Eigenkirche fu molto diffusa tra i franchi, quando venne riconosciuta legislativamente, ma anche nella Spagna visigotica, nell’Italia longobarda e in Inghilterra.

L’istituzione sottoposta al diritto di proprietà o meglio di signoria di chi l’aveva eretta e dotata, poteva essere liberamente ceduta, affittata o donata con i suoi officianti, che dipendevano economicamente e giuridicamente dal proprietario. Il fenomeno comportava che chi lavorava nella chiesa privata, tanto laici che ecclesiastici, sfuggivano all’autorità del Vescovo ed erano sottoposti al signore fondiario o al dignitario reale.

Con il passar del tempo l’autorità ecclesiastica accetta e si impone lei stessa di regolamentare il fenomeno ed introduce una commistione tra le funzioni sacerdotali e laicali che rafforza sempre più il processo di integrazione tra il potere politico e quello religioso all’interno delle chiese nazionali. Le famiglie nobili cominciarono ad essere influenti, fino a determinare la scelta degli stessi Vescovi. I principi cristiani avocarono a sé, per proprio vantaggio, il diritto dei laici della approvazione episcopale e lo trasformarono in diritto di nomina. I grandi signori feudali nominavano più della metà dei Vescovi feudali.

In questo periodo la cristianità risente dell’organizzazione sociale soggetta a una duplice autorità, il Papa e l’imperatore, il Vescovo e il conte, il prete e il soldato (si pensi alle Crociate secc. XI-XIII ).

Liturgia, culto, predicazione, reclutamento e disciplina degli ordini religiosi sono ambiti della vita ecclesiastica in cui i principi assunsero potere. Nacque una nuova teoria secondo la quale in caso di deficienza dell’autorità ecclesiastica, il principe poteva agire nel campo della Chiesa e viceversa.

Nel medioevo la rivendicazione della libertà della Chiesa (libertas Ecclesiae) da parte del Papato nei confronti del potere civile sarà una delle cause dell’aumentare dello spacco tra chierici e laici. L’istituzione ecclesiastica si trova a lottare con il potere imperiale per emanciparsi dalla soggezione e riacquistare la propria autonomia. Il fatto porterà ad un processo di identificazione della Chiesa con il ceto clericale e la libertà della Chiesa dal potere secolare verrà perseguita attraverso la progressiva svalutazione dei laici. Essi finiscono ai margini della Chiesa [6].

Emblematico l’impegno di Gregorio VII che intervenendo per porre freno agli abusi con la riforma scomunicherà Enrico IV, che si oppone, sciogliendo i sudditi dal vincolo di fedeltà all’imperatore. I Dictatus papae affermarono la superiorità del Pontefice su tutti i sovrani e sullo stesso imperatore e la designazione episcopale divenne oggetto esclusivo di diritto pontificio (salvo particolari accordi, in concordati, a vantaggio dell’autorità civile).

I radicali cambiamenti economici e sociali che accompagnarono l’espansione delle città, lo sviluppo delle nuove scienze e la nascita delle università, il diffondersi delle eresie, misero alla prova il cristianesimo medievale.

Nascono su ispirazione laicale ordini mendicanti e numerose confraternite di laici desiderosi di santità le cui azioni sono accomunate dalle note della radicalità e carità evangelica che si esprimono nelle opere di misericordia.

Fino al tardo medioevo certi scrittori arrivano ad assimilare l’autorità del sovrano a quella del sacerdote appellandosi alla sua consacrazione e ancora nel XV secolo in Francia Jean Juvenel des Ursis scrivendo a Carlo VII lo qualifica nel suo regno “il primo dopo il Papa, il braccio destro della Chiesa”. Tuttavia, nei complessi rapporti, in ambito politico tra Chiesa e sovrani, alcuni laici, fedeli fino al martirio ai dettami del Vangelo, testimoniano che quando lo Stato chiede ai suoi sudditi una sottomissione contraria alla propria coscienza, la fedeltà bisogna darla a Dio prima, per tutti Thomas More.

Nel XVI secolo i Riformatori proclamavano lo ius reformandi exercitium religionis del principe, diritto cioè di ingerirsi nella religione e di imporla ai sudditi. Contemporaneamente i laici in quest’ epoca coltivano una spiritualità abbastanza soggettiva che li allontana dalla pratica dei sacramenti (in Germania si manifesta una particolare inquietudine) nella ricerca dei mezzi per assicurasi la salvezza [7].

Dal Concilio di Trento

Il Concilio di Trento (1545-1563) afferma l’istituzione divina della gerarchia ecclesiastica in risposta alla concezione di un sacerdozio universale che ha preso volto nelle Chiese della Riforma. Il Concilio non fa parola dei laici [8]. La preoccupazione di preservare la fede dei fedeli e l’irrigidimento antiprotestante spiegano la centralizzazione e il carattere clericale che assume la Chiesa.

L’attività dei laici è soggetta ad un attento controllo da parte dei Vescovi. Le confraternite devono sottoporre i propri statuti all’autorità gerarchica e ne devono osservare le prescrizioni in ambiti fino ad allora non controllati: organizzazione delle cerimonie, scelta dei libri e delle devozioni, ornamento delle cappelle. Vengono preferite le associazioni ben regolamentate e che hanno un posto nella struttura gerarchica della Chiesa, oppure le congregazioni mariane dei gesuiti, centrate sulla congregazione madre del Collegio romano.

Con l’epoca tridentina il cambiamento nella Chiesa conosce una grande accelerazione che ha ripercussioni sul piano delle istituzioni canoniche.

Comincia a maturare il tempo in cui i laici si orientano alla santità con un cristianesimo vissuto nelle realtà temporali. San Francesco di Sales (1567-1622) indica i capisaldi di una spiritualità laicale.

Nello stesso tempo gesuiti, francescani e religiosi di altri ordini nelle terre di missione in America e Asia (India, Cina, Indocina, Vietnam) trovano il sostegno di laici operosi nella evangelizzazione.

Nel corso del’600 in Vietnam 300.000 cristiani animati da laici mantengono viva la fede e la vita religiosa di fronte alla presenza di pochi sacerdoti. In Cina, accogliendo e proteggendo i suoi ministri, decine di migliaia di laici morirono eroicamente in difesa di una religione, che se pur venuta da lontano, avevano assimilata con il suo messaggio salvifico per tutti gli uomini.

Nel contesto storico della rivoluzione industriale i laici, accanto a sacerdoti e Vescovi, ebbero un ruolo fondamentale sia a livello culturale che politico nel preparare il terreno perché il Magistero della Chiesa si potesse esprimere in ambito sociale. Il lavoro dell’Unione di Friburgo, di un gruppo di studiosi, soprattutto laici, di analisi dei problemi sociali ebbe un influsso rilevante a livello contenutistico dell’enciclica di Leone XIII Rerum novarum, pubblicata nel 1891.

Con Pio XI il termine laico viene utilizzato per indicare una precisa categoria di fedeli per una specifica missione nel mondo. Egli per l’apostolato individuale e sociale manifesta pieno affidamento nei laici (Enciclica Ubi arcano del 1922) [9]. Una ricca fioritura di organizzazioni e movimenti laicali sboccia tra i due conflitti bellici mondiali precedendo la stagione del Concilio Vaticano II.

A partire dal Concilio Vaticano II

Il ripensamento del ruolo e della figura del laico si trova in quasi tutti i documenti conciliari con l’indicazione della sua responsabilità nella Chiesa e nel mondo. Si affrontano le tematiche della vocazione, carattere, missione, responsabilità dei laici. Fondamentali per comprendere l’attuale importanza dei laici nella compagine ecclesiale sono le due costituzioni apostoliche Lumen Gentium e Gaudium et Spes e il decreto Apostolicam actuositatem.

L’ecclesiologia poggia su due pilastri: il sacramento, il segno primario della presenza di Cristo è la comunità; e tutti i credenti, siano essi nella gerarchia o laici, sono uguali in dignità (LG, n.32).

Sulla scia del Vaticano II i laici, tra i quali molti in numerosi movimenti ecclesiali, si impegnano con slancio al rinnovamento dei singoli, della Chiesa e della società, mostrando che la loro vocazione si esprime particolarmente nell’essere motore di trasformazione delle realtà temporali, lievitandole con la luce evangelica.

Nel codice canonico vigente il legislatore pone un dettato che va compreso e letto nella dimensione ecclesiologica del Concilio Vaticano II : Ex divina institutione, inter christifideles sunt in Ecclesia ministri sacri, qui in iure et clerici vocantur; ceteri autem et laici nuncupantur (can. 207, §1 CIC).

I canoni successivi individuano i compiti dei laici nell’ambito della Chiesa e della realtà temporale. L’obbligo generale ed il diritto per l’ambito più spirituale di “impegnarsi … perché l’annuncio della salvezza venga conosciuto …”, per quello più prettamente temporale il dovere specifico per i laici “ciascuno secondo la propria condizione, di avviare e perfezionare l’ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico e in tal modo di rendere testimonianza a Cristo, particolarmente nel trattare tali realtà e nell’esercizio di compiti secolari”. E ancora: “I laici che risultano idonei, sono giuridicamente abili ad essere assunti dai sacri Pastori in quegli uffici ecclesiastici e in quegli incarichi che sono in grado di esercitare secondo le disposizioni del diritto. I laici che si distinguono per scienza adeguata, per prudenza e per onestà, sono idonei a prestare aiuto ai Pastori della Chiesa come esperti o consiglieri, anche nei consigli a norma del diritto” (Can. 228 CIC). Essi possono cooperare a norma del diritto (Can. 129, § 2 CIC) nella potestà di governo, possono supplire alcuni uffici, ricevere l’ufficio di missionario, di catechisti nelle terre di missione, di cura pastorale di una parrocchia. Ancora possono essere giudici dei tribunali ecclesiastici, uditori o istruttori, promotori di giustizia e difensori del vincolo.

Riguardo alla figura e al ruolo dei laici quali nuovi orizzonti la storia delle istituzioni del diritto canonico lascia intravedere?

I testi conciliari sull’origine trinitaria della Chiesa aprono nuove piste di comprensione e di indagine sul rapporto reciproco che deve esserci tra le diverse vocazioni e istituzioni, concedendo allo Spirito un ruolo nella creazione di nuove leggi che lo esprimano sempre meglio, in vista della missione comune da realizzare.

Elisabetta Scomazzon

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[1] J. Danielou – H. Marrou, Dalle origini a San Gregorio Magno, in Nuova storia della Chiesa, I, Casale Monferrato 1970, p.161.

[2] L.M.Bazelaire, I laici e la Chiesa,in Enciclopedia cattolica dell’uomo d’oggi, 86, Catania 1959, p. 87.

[3] Ibidem, p. 447.

[4] Ibidem, p.91.

[5]Considero il 313, anche se con il 380 il cristianesimo è divenuto religione di Stato.

[6] I. Giordani, Memorie di un cristiano ingenuo, Roma 1981, p. 147.

[7] H. Tuchle – C.A. Bouman – J. Le brun, La riforma e la Controriforma, in Nuova storia della Chiesa, III, Casale Monferrato 1970, pp. 48-49.

[8] Ibidem, p.246.

[9] Cfr G. Dalla Torre, Laici (responsabilità dei), in Dizionario di dottrina sociale della Chiesa, Milano 2004, p. 392.

Bibliografia

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