Un ricordo di Carlo Gullo da parte della Prof.ssa Geraldina Boni

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Alla fine dello scorso mese di novembre è venuto a mancare Carlo Gullo, insigne canonista, avvocato della Rota romana e della Santa Sede, molto conosciuto e apprezzato per la sua professionalità, competenza e perizia, ma prima ancora per la sua grande umanità e per il suo esempio coerente di vita cristiana e di servizio autentico alla Chiesa nella verità, senza infingimenti anche in circostanze difficili. Pubblichiamo volentieri un suo ricordo scritto dalla Prof.ssa Geraldina Boni.

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   Carlo Gullo [1] nasce a Piombino il 27 settembre 1942. Compie gli studi superiori al Liceo Classico presso il Collegio Pennisi di Acireale gestito dalla Compagnia di Gesù. Si laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Messina nel 1964 e consegue poi il Dottorato in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana nel 1968. È Avvocato Rotale dal 1970, Avvocato della Curia Romana dal 1991 e Avvocato della Santa Sede dal 2000. Pur svolgendo in questi anni un’intensa e qualificata attività professionale, partecipa vivacemente, sovente in qualità di laborioso promotore, al dibattito culturale e a numerose iniziative concernenti gli studi canonistici. Diviene membro dell’Associazione Canonistica Italiana nel 1970 e, nello stesso anno, sodale del Venerabile Arcisodalizio della Curia Romana. Dal 1988 al 2009, inoltre, figura quale componente del Direttivo dell’Associazione Canonistica medesima, mentre già dal 1983 riveste tale carica nel Direttivo del Venerabile Arcisodalizio della Curia Romana. Collabora alla redazione de Il diritto ecclesiastico dal 1978 al 2009, prestigiosa rivista che, proprio grazie al suo apporto di selezione oculata, pubblica le più incisive sentenze soprattutto del Tribunale Apostolico della Rota Romana, nonché, altresì, di Tribunali regionali italiani. Espleta poi le funzioni di responsabile delle pubblicazioni sotto l’egida dell’Associazione Canonistica Italiana dal 1986 al 2010: e in questo periodo vengono editi vari tomi su tematiche di estremo interesse e miscellanee annoveranti dissertazioni di illustri studiosi. Del pari, di pregio e di elevata caratura risultano essere anche le opere pubblicate dal Venerabile Arcisodalizio della Curia Romana sotto la sua soprintendenza, che data dal 1986. Adempie, infine, le funzioni di docente del corso di Prassi processuale matrimoniale presso la Pontificia Università della Santa Croce, cattedra che ricopre dal 1999 al 2012, coronando con l’insegnamento e soprattutto ponendo proficuamente a disposizione degli studenti la sua straordinaria esperienza: una competenza, teorica e pratica, ineguagliabile e preziosissima.

   Coniugatosi non ancora trentenne nel 1969, il suo matrimonio è stato allietato da quattro figli: con la primogenita Alessia ha condiviso la ‘vocazione’ canonistica e, con essa, lo studio d’avvocato. Insieme hanno firmato una valevole ed utilissima monografia, Prassi processuale nelle cause canoniche di nullità del matrimonio, aggiornata ripetutamente dalla prima edizione del 2001 fino alla quarta ed ultima del 2014 [2]. Le copie si sono esaurite sempre con rapidità vorticosa, in quanto l’accurata e minuta revisione del volume alla luce delle innovazioni normative e degli orientamenti giurisprudenziali lo rendeva e lo rende strumento indispensabile ed insurrogabile per chiunque voglia approcciarsi all’‘universo’ processuale canonico, a prescindere dai suoi intendimenti, meramente speculativi o altresì pratici. In tale volume, infatti, davvero riluce il connubio fruttuoso tra sicuro possesso delle nozioni scientifiche e, parallelamente ma in reciproca compenetrazione, compiuta padronanza delle dinamiche procedurali concrete così come si dipanano quotidianamente nella ‘giustizia vissuta’ della Chiesa.

   Proprio per questa miscela indissolubile non è semplice tracciare un ritratto fedele e a tutto tondo di Carlo Gullo: il rischio è quello di accentuare unilateralmente un lineamento a scapito dell’altro, di privilegiare un aspetto lasciandone in ombra un altro: finendo per delinearne un profilo parziale e mutilo, tradendo la poliedricità e multidimensionalità della sua personalità.

   Indubbiamente Gullo era anzitutto rinomato quale battagliero paladino della categoria forense ecclesiastica. Forse nessuno più di lui negli anni passati si è reso pugnace portabandiera della dignità e dei diritti di un ceto che invero non sempre si è mostrato degno di meritarsi un così nobile difensore: egli, per converso, senza titubanze e a viso aperto, non solo non temeva di palesare a voce, ma anche di scrivere, in maniera diretta e talora scomoda, il suo pensiero. Devo ammettere, però, che questa, per me che non esercito il patrocinio presso i Tribunali ecclesiastici e frequento solo sporadicamente i circoli romani, era appunto una nomea alla quale prestavo credito ma che non avevo mai accertato personalmente, non essendomi tra l’altro occupata ex professo di avvocatura ecclesiastica. Così, per vergare più avvertitamente queste righe, ho ripreso in mano od anche consultato ex novo i non pochi contributi che, nell’arco del tempo, Carlo Gullo aveva dedicato alla materia, la quale evidentemente gli stava in special modo a cuore [3]: ed è stata, devo sinceramente confessarlo, oltreché una gradevolissima lettura e un’occasione di arricchimento scientifico, una rivelazione sorprendente.

   Ho così potuto verificare con quanto calore e orgoglio professionale ci si sdegnò avverso certi provvedimenti canonici su procuratori e avvocati fortementae vessatori se non offensivi, come le famigerate Litterae circulares del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica del 14 ottobre 1972. Ancora, con quanta schiettezza e perspicacia si denunciarono perplessità e riserve avverso l’istituzionalizzazione e la regolamentazione degli ‘avvocati pubblici’ o ‘stabili’ in specie nel panorama italiano [4]. E, principalmente, con quanta ostinata dedizione si cercò di difendere ed esaltare la fisionomia specifica dell’avvocato nel foro ecclesiastico, non specularmente corrispondente all’omologo presso le corti secolari [5]: segnatamente additando quelle lacune, nell’ordinamento canonico, che non poco danneggiavano il corretto ed efficace assolvimento di tale vero e proprio ministerium ecclesiale [6]. In particolare la più volte denegata erezione di un ordine professionale – soprattutto come forma di autotutela e di responsabilizzazione della categoria [7] – fu rovello che mai abbandonò Carlo Gullo, convintamente persuaso che esso avrebbe assai giovato non tanto alla classe forense canonica, ma alla retta amministrazione della potestas iudicandi nella Chiesa: eppure assistette all’arenarsi di tutti i tentativi intrapresi, dinanzi alla granitica resistenza dell’autorità ecclesiastica alla costituzione e legittimazione di un coetus advocatorum, con amarezza ma senza mai arrendersi.

   Certo l’Avvocato non lesinava i suoi strali neppure alle insufficienze e imprecisioni nella redazione delle fonti normative ovvero ai vizi e disfunzioni dell’organizzazione giudiziaria, così come, del pari, senza alcun timore reverenziale deplorava apertamente certe biasimevoli prassi invalse nei Tribunali ecclesiastici, eventualmente mascherate da ‘misure equitative’ esito di una discrezionalità che però poteva sfociare nell’arbitrio.[8] Con toni però – va rimarcato – mai eccessivi e sopra le righe, seppur sovente privi di quella edulcorata (e invero stucchevole) diplomazia talora connotante certo argomentare canonistico curiale: invece non di rado contrassegnati da una ironia pungente [9] (anche bersagliando i giudici ecclesiastici, senza alcuna soggezione o piaggeria [10]), a tratti da un sarcasmo disilluso [11]. Eppure le critiche non erano aggressioni fini a se stesse, oppure doglianze interessate per tornaconto, per così dire, ‘di bottega’: perché, con onestà intellettuale, se ne porgevano puntualmente le motivazioni e soprattutto si miravano ad elaborare proposte giuridicamente formulate in termini concreti e coerenti, offerte con fiducia all’autorità ecclesiastica. Una fiducia che, se a volte pareva cedere ed appannarsi davanti a delusioni cocenti, sempre risorgeva indomita.

   Tra l’altro la sua penna acuminata non risparmiava neppure i colleghi, dei quali stigmatizzava sferzantemente i comportamenti talvolta riprovevoli e deontologicamente deviati, mentre, al contempo, reclamava a gran voce quei (proporzionati) provvedimenti disciplinari [12] che l’autorità ecclesiastica stentava riluttante a comminare: e che invece avrebbero evitato ed eviterebbero l’effetto perverso per il quale le condotte reprensibili e non sanzionate di pochi si ripercuotono sulla maggioranza incolpevole, alimentando ‘leggende nere’ false e fuorvianti. Se, infatti, alcune delle sue assennate richieste fossero state intelligentemente e tempestivamente accolte, avrebbero contribuito in maniera consistente a sanare alcune lamentate carenze della giustizia ecclesiastica, scongiurando derive avventate: l’esempio più eloquente è quello della celerità e della gratuità, entrambe da sempre vagheggiate e da sempre fraintese.

   E qui arriviamo al punto: sono rimasta davvero colpita dinanzi alla preveggenza di Carlo Gullo in alcuni passaggi – quelli forse più venati di sconfortato pessimismo – in cui disegnava la parabola evolutiva-involutiva che rischiava di seguire il processo di nullità matrimoniale, laddove si fosse ascoltato l’ingannevole canto delle sirene di chi invocava misure che avrebbero dovuto miracolosamente ‘guarire’ le ‘malattie’ della giustizia ecclesiale, cioè, appunto, lentezza e presunta onerosità economica, prescindendo però da una diagnosi rigorosa e realistica. Invece, per vincere le difficoltà, occorre anzitutto identificarne e decifrarne le cause; e la ‘radiografia’ che ne forniva Gullo era chiara e congruamente ragionata nella sua spietata crudezza. A gravare sulle strutture giudiziarie ecclesiastiche, rallentandone e intralciandone il funzionamento, erano – ieri, esattamente come oggi – la penuria di addetti presso tutti i Tribunali ecclesiastici, anche quelli apicali, sia per personale indisponibilità (attesa anche la scarsa remuneratività [13]) sia altresì per la distratta noncuranza di molti vescovi verso questo settore ecclesiale, da una parte, e l’insufficiente formazione degli operatori, sovente sguarniti di una seria specializzazione canonistica, dall’altra: «Se a questo poi si aggiunge la scarsa preparazione e sensibilità giuridica di certi ambienti ecclesiali, che pretendono di risolvere i problemi dell’amministrazione della giustizia con iniziative “pastorali” in materie (diritto canonico) di cui non conoscono assolutamente nulla, il quadro si fa completo» [14]. A perfezionare la cornice doveva poi sommarsi una mal dissimulata avversione o comunque una diffidenza verso gli avvocati, in base al non raro pregiudizio presente in taluni ecclesiastici che essi «non servono a nulla; quando non sono dannosi sono ininfluenti e dunque, anche se sono professionalmente dequalificati, la cosa non ha alcuna importanza, salvo poi non sapere a che santo votarsi quando si hanno problemi penali o amministrativi nella propria diocesi. […] A meno che, e questo sarebbe ancora più grave, a questo modo di ragionare soggiaccia un’altra logica e cioè che – per una soluzione “pastorale” dei divorziati risposati – la dichiarazione di nullità del matrimonio sia da considerare […] un surrogato del divorzio. Se per favorire questa tendenza, i matrimoni falliti debbono (in linea di principio) essere dichiarati nulli, invertendo la presunzione di validità del vincolo, che bisogno c’è di un avvocato? La sua presenza è solo un inciampo; il risultato lo si ottiene comunque. Ma, allora, si potrebbe aggiungere: che bisogno c’è di un processo o di un giudice? Basta un atto amministrativo» [15]. Quanto infine – per toccare un’altra querelle tornata recentemente alla ribalta – all’ipotizzato totale azzeramento di ogni spesa nel c.d. processo ‘della mutua’ [16] anche ‘per chi è miliardario’ [17] – col pretesto dell’«esosità dei costi processuali […] argomento in buona misura demagogico» [18] – Gullo annotava come questo rappresentasse «Un rischio, perché la parola gratis è una parola magica, per cui esiste la fondata possibilità che queste cause le faranno, magari per vessare il coniuge o per sfizio, anche persone cui l’aspetto religioso non interessa nulla, proprio perché non costa nulla, con la conseguenza che verosimilmente ci ritroveremo con un numero di cause decuplicato […]. /È velleitario perché, se i nostri Tribunali non sono in grado di far fronte al problema oggi, vista la scarsezza di personale e la sua insufficiente remunerazione, figuriamoci cosa accadrà fra qualche anno! /È inutile, perché chi vuole la dichiarazione di nullità di matrimonio per accedere ai sacramenti, lo può già fare oggi usufruendo (se ne ha diritto) del gratuito o semigratuito patrocinio o, se ne ha la possibilità, sostenendo un piccolo sacrificio economico che, nella generalità dei casi, non supera l’importo delle spese di una cerimonia di nozze. Se le persone possono sostenere certe cifre per fare folklore, non si vede perché non le possano sostenere per fare una causa» [19].

   Dalle frasi che ho voluto riportare risalta palmarmente il ‘piglio’ e lo ‘stile’ dell’Avvocato Gullo, nel quale la franchezza (a volte quasi ‘brutale’) ed un sano buon senso non fanno velo alla piena cognizione delle implicazioni giuridiche: esse, poi, pur risalendo a vent’anni orsono, sembrano vergate oggi. Un profetismo davvero sbalorditivo, seppur forse di sventura qualcuno postillerà acidamente ma facendo trasparire ottusità: sia perché dai quadretti astratti e idilliaci, proprio perché immaginari, non si può generare nessun progresso, sia perché quella di Carlo Gullo è sempre stata una doglianza ed una provocazione, diremmo anzi un ‘grido di dolore’, levati con l’unico proposito di sollecitare chi di dovere a rigettare i falsi rimedi per farsi carico, invece, delle necessità urgenti al fine di evitare la ‘morte’ del processo canonico [20]: il cui fine non è accontentare le parti e neppure appagare gli avvocati, ma l’attingimento della verità.

   Ci preme sottolineare, infatti, che qui, come analogamente in tutte le disquisizioni sulla condizione dei patrocinanti presso il foro ecclesiastico, non siamo mai dinanzi a rivendicazioni sindacali o a militanze corporative, e neanche a un ipercritico disfattismo. Tutto al contrario, al fondo ci sono coraggio e giustizia, il coraggio dell’affermazione della giustizia: c’è una genuina preoccupazione per quella iustitia – specie per una vera, e non fittizia, dichiarazione della nullità del matrimonio [21] – per la quale Carlo Gullo aveva speso e voleva continuare a spendere le sue energie e il suo ingegno.

   Un ingegno del quale peraltro dava prova nell’originalità del suo approccio e dei suoi suggerimenti: mai da lui si sarebbe ascoltata la ‘crambe repetita’ che dileggiava Giovenale. Pure nei saggi su temi quanto mai classici del nostro ‘comparto disciplinare’, quelli per intenderci su cui si era sperimentata brillantemente e largamente la canonistica fin dall’epoca aurea del medioevo e sui quali dunque era illusorio e vanaglorioso sperare di apportare un quid novi, anche qui, senza prosopopea, sommessamente ma con disinvoltura, Carlo Gullo non si limitava a riprodurre le acquisizioni del passato: ma le testava, sempre nel rispetto della tradizione e restando fedelmente nel suo solco, alla luce dei più recenti documenti magisteriali e dei pronunciamenti giurisprudenziali, ma anche del cammino, intricato e burrascoso, compiuto dagli homines viatores. E riusciva, con finezza interpretativa, ad aprire scenari a stento percepibili per chi, rinserrato nel ‘bozzolo’ della teoria pura, non si ‘contaminasse’ con le complesse e travagliate vicende terrene emergenti dalla prassi nelle aule dei Tribunali: riuscendo a forgiare applicazioni dello ius Ecclesiae davvero rispondenti alla sua orientazione teleologica alla salus di ogni singola anima. Paradigmatica in questo senso, per profondità di analisi giuridica ma anche antropologica e psicologica, nonché per lungimiranza di vedute, la monografia – pur sempre, come consueto, contenuta in una stringata concisione – Il metus ingiustamente incusso nel matrimonio in diritto canonico [22]: cronologicamente lontana, eppure ancora per alcuni aspetti insuperata. Ma pure nei non scarsi articoli pubblicati Gullo, senza tergiversare in futili discettazioni accademiche, perviene immediatamente al punctum dolens e lo affronta: e di frequente lo centra con acutezza. Squarci illuminanti, quanto alla disciplina sostanziale della nullità del matrimonio, aprono i lavori su frigidità [23] e impotenza [24], ovvero sull’incapacità di educare la prole [25], sul canone 1095 [26], sull’errore di persona [27], sul matrimonio condizionato [28], sul dolo [29], o anche sul difetto di forma di celebrazione [30] o sul vetitum[31]. Così come, quanto al versante de processibus, intrisi di quella perizia faticosamente conquistata sul campo e che non si può improvvisare sono gli scritti in materia di istruttoria e di prove: non solo nel processo matrimoniale, ma anche nel contenzioso amministrativo e nell’ambito penale [32]. La solerzia genuina per la salvaguardia del diritto di difesa attraversa sotterraneamente e innerva tutti gli studi sul tema: i quali rifuggono le proclamazioni altisonanti e retoriche per chinarsi sulle minute cadenze processuali sì che in esse la tutela dello ius defensionis si renda praticabile appieno e in tutte le sue sfaccettature [33]. Spesso in tal modo intitolate, queste ‘note minime’ non lasciano scoperto nessun ganglio centrale, soprattutto del diritto matrimoniale: e l’umiltà di quel ‘minime’ richiama unicamente la dote dell’Autore di un’icastica essenzialità, che tuttavia non è superficialità o approssimazione. Mi sono limitata, infatti, a citare gli istituti scandagliati in alcuni articoli, sui quali però mi piacerebbe soffermarmi per segnalare come in essi affiorasse quel dettaglio – eventualmente in apparenza squisitamente tecnico – che, nonostante la pletora di trattazioni dottorali, era sfuggito, o la sfumatura che, da sola o coordinata al contesto globale, consentiva una differente configurazione della fattispecie, più soddisfacente perché più aderente alla realtà. Ma anche nelle ‘incursioni’ su temi esulanti il vincolo coniugale quello che più si nota è la sagacia nell’enucleare il fulcro della quaestio investigata, sempre allo scopo di avviare verso approdi giuridici più ‘giusti’ [34]: senza salti avventati in avanti, ma anche senza esagerate ritrosie conservatrici [35].

   Se dunque in merito all’attività professionale non posso che attestare la reputazione incorrotta e la stima diffusa da cui era circondato, come anche comprovano i nomi davvero eminenti che hanno voluto rendergli omaggio nella bella raccolta di studi in tre volumi pubblicata in suo onore nel 2017; quanto, per converso, alla produzione scientifica, credo che essa sia ancora tutta da scoprire, un’eredità da vagliare e rimeditare nella sua fecondità, quasi come gli exempla maiorum degli antichi. Non che Gullo si ergesse boriosamente a Maestro: anzi dai Suoi discorsi trapelano costantemente – oltre all’integrità morale unita ad un’umanità autentica – saggia prudenza e modestia. Del pari non esitava a palesare incertezze e dubbi, nella coscienza sia che «dubium sapientiae initium» e soprattutto, più argutamente, che «ille nihil dubitat qui nullam scientiam habet» (‘aforismi’ che forse avrebbero fatto sorridere l’Avvocato, il quale dominava con maestria il latino, e non solo per ‘ragioni d’ufficio’).

   Insomma una produzione scientifica che si distingue per la «capacità di uscire dalle trattazioni di maniera e dal “ripetivismo” che sovente caratterizza la plurisecolare e sterminata bibliografia in materia di matrimonio canonico, prospettando soluzioni nuove e indicando nuovi percorsi per la riflessione dottrinale e per l’esperienza giuridica» [36]. Sono parole che Giuseppe Dalla Torre ha usato, nel suo toccante necrologio, per descrivere l’apporto allo ius canonicum di un notevolissimo giurista, Piero Antonio Bonnet, e che ho voluto qui riprodurre perché credo che questo riconoscimento possa valere anche per Carlo Gullo. Egli, peraltro, era del primo amico fraterno: con Bonnet aveva inoltre condiviso l’ideazione e l’organizzazione di innumerevoli eventi congressuali e insieme avevano realizzato molti progetti editoriali, curando in particolare volumi della collana della Libreria Editrice Vaticana Studi giuridici fondamentali a tutt’oggi sia per la scienza sia per la pratica. La loro scomparsa a pochi mesi di distanza non solo crea un vuoto immenso nella canonistica, ma è una dolorosa perdita per la comunità cristiana tutta. Mi ha riferito la figlia Alessia come lui, il quale certo non indulgeva in enfatici sentimentalismi, commosso aveva commentato la dipartita del carissimo Piero Antonio come la perdita irreparabile di una colonna della Chiesa: ora sono due le colonne di cui essa è privata.

   Per quanto personalmente mi riguarda, io l’ho incontrato e conosciuto quando, giovane ricercatrice, ero invitata a svolgere relazioni presso l’Associazione Canonistica Italiana: lì ho incrociato il Suo atteggiamento, sempre amichevole ma mai confidenziale, e il Suo sguardo, sempre benevolo ma mai accomodante. E in quel suo ‘cordiale distacco’ ho subito rinvenuto quella consonanza temperamentale e dunque quella garbata familiarità che ha sempre contrassegnato i nostri rapporti: inappuntabilmente formali, ma mai rigidamente o freddamente formalisti. La sua elegante imperturbabilità, d’altronde, non nascondeva altezzosità o presunzione: incarnava l’olimpica serenità di un vero signore, la cui aristocrazia non risiedeva nel sangue ma nella consapevolezza del proprio pensiero e delle proprie azioni.

   Le sofferenze per motivi di salute nulla avevano sottratto alla sua bonaria autorevolezza, ed anzi lo avevano reso ancora più amabile. La mente a tratti pareva svaporare: ma era solo un’impressione fugace perché l’Avvocato, immerso in un silenzio pensieroso, si dimostrava ancora vigile e capace di esprimere lucidamente le sue opinioni, senza remore né sudditanze servili, per contro con quella libertà dei figli di Dio che è la più grande, perché sempre rispettosa. E così, con la pacatezza e il garbo che mai l’hanno abbandonato, e con quelle frasi epigrafiche che lo contrassegnavano e che nella loro stringatezza contenevano il massimo dell’esaustività, non nascondeva il proprio sconcerto e rammarico per alcuni cambiamenti del diritto canonico che aveva meticolosamente studiato e che conosceva in ogni anfratto, per aver contribuito lungo quarant’anni ad attuarlo con mai scemata passione. Eppure, piuttosto che disapprovazione o rimprovero, dal suo sguardo e dalle sue fulminanti sentenze trapelava il malessere per l’incomprensione di un linguaggio che non era più il suo. Ancora attento e proteso alla decifrazione delle novità radicali che si erano appena introdotte in quel processo matrimoniale canonico nel quale Carlo Gullo forse come nessun altro navigava con dimestichezza, partecipò assiduamente – nonostante lo sforzo fisico che ciò gli costava – agli incontri per una prima delucidazione della novella: senza prevenzione e senza diffidenza. Ne rimase talmente meravigliato che non l’età avanzata, né la debolezza del corpo, ma solo la percepita estraneità a un mondo oramai radicalmente trasformato potevano allontanarlo da una professione che aveva tenacemente amato e coltivato pur tra incagli e asperità: e che voleva onorare sino alla fine senza compromessi. Tuttavia, come spesso (cristianamente) accade, spes contra spem: il cardinale Angelo De Donatis, vicario di Papa Francesco, il 12 novembre 2018 ha riconosciuto il Coetus Advocatorum abilitati a patrocinare nei Tribunali ecclesiastici del Vicariato di Roma come associazione privata di fedeli, conferendo alla stessa personalità giuridica canonica; dunque una tappa significativa era stata finalmente e insperatamente raggiunta nel perseguimento di quell’importante obiettivo della valorizzazione professionale in cui l’Avvocato Carlo Gullo si era impegnato tanto generosamente. E la benevolenza divina ha voluto che egli potesse apprendere dalla figlia (che è Presidente del Coetus) la benaugurante notizia pochi giorni prima del suo ritorno alla casa del Padre, rallegrandosene intimamente.

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NOTE:

[1] Lo scritto è destinato alla pubblicazione su Il diritto ecclesiastico.

Ringrazio davvero sentitamente l’Avvocato Alessia Gullo per l’aiuto prestatomi nella stesura di questo Ricordo. ‘Avvocato’, si noti, e non ‘Avvocata’, secondo certe mode oggi invalse: a parte ogni davvero insulsa polemica ideologica, per me e per Alessia l’‘Avvocata nostra’ è Una sola.

[2] Cfr. Carlo Gullo, Alessia Gullo, Prassi processuale nelle cause di nullità del matrimonio. Quarta edizione aggiornata con le facoltà straordinarie concesse da Sua Santità Benedetto XVI a S.E. il Decano della Rota Romana l’11 febbraio 2013, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2014.

[3] Cfr., fra i molti contributi al riguardo, Carlo Gullo, Gli avvocati (artt. 183-185 Cost. Ap. Pastor Bonus), in La Curia Romana nella Cost. Ap. “Pastor Bonus”, a cura di Piero Antonio Bonnet, Carlo Gullo, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1990, pp. 531-547; Idem, Avvocati liberi professionisti e patroni stabili nella nuova organizzazione dei Tribunali ecclesiastici italiani, «Il diritto ecclesiastico», CIX, I, 1998, pp. 140-154; Idem, L’assetto della professione forense canonica, in Il diritto di difesa nel processo matrimoniale canonico, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2006, pp. 115-127; Idem, Futuro, natura e assetto della professione forense canonica, in Matrimonium et ius. Studi in onore del Prof. Avv. Sebastiano Villeggiante, a cura di Jorge Ernesto Villa Avila, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2006, pp. 353-368; Idem, I procuratori e gli avvocati (artt. 101-113), in Il giudizio di nullità matrimoniale dopo l’Istruzione “Dignitas connubii”. Parte Seconda: La parte statica del processo, a cura di Piero Antonio Bonnet, Carlo Gullo, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2007, pp. 297-315.

[4] Ripetutamente Carlo Gullo espresse in maniera lapidaria la sua opinione: «Il futuro dell’avvocatura canonica sarà l’avvocato stabile, cioè una figura non autonoma, che farà parte della struttura giudiziaria, una tappa nella “carriera” per diventare giudice. Non mi piace, ma penso che siamo avviati già su questa strada» (Idem, L’assetto della professione, cit., p. 118).

[5] Sulla «profonda differenza che contraddistingue la figura del’avvocato ecclesiastico dal collega civilista» si è soffermata anche Alessia Gullo, Principi deontologici riguardanti gli avvocati, in Deontologia degli operatori dei Tribunali ecclesiastici, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2011, pp. 169-196 (la frase è a p. 171, nota 18); cfr. anche, per tutti, Graziano Mioli, Per un codice deontologico forense canonico: sono maturi i tempi?, «Quaderni di diritto ecclesiale», XXIII, 2010, specialmente p. 47 sgg.

[6] Sono tutte tematiche largamente trattate in numerosi saggi di Carlo Gullo.

[7] Per una sintesi dei tentativi intrapresi cfr. Carlo Gullo, L’assetto della professione, cit., p. 121 sgg.; Idem, Futuro, natura e assetto, cit., p. 361 sgg. Rinviamo per una ricostruzione completa, anche con indicazioni dottrinali precise, a Graziano Mioli, La remunerazione degli avvocati nei giudizi di nullità matrimoniale, Città del Vaticano, Lateran University Press, 2009, specialmente p. 177 sgg.; Idem, L’osservanza deontologica come problema di autodisciplina degli avvocati, in Deontologia degli operatori dei Tribunali ecclesiastici, cit., segnatamente p. 204 sgg., il quale cita ampiamente contributi di Carlo Gullo.

[8] Interessantissime ‘incursioni’ nel diritto processuale penale canonico, incardinate anche sulla propria esperienza come avvocato, in Carlo Gullo, Le ragioni della tutela giudiziale in ambito penale, in Processo penale e tutela dei diritti nell’ordinamento canonico, a cura di Davide Cito, Milano, Giuffrè Editore, 2005, passim.

[9] Così Carlo Gullo, Le ragioni della tutela, cit., p. 157, dopo avere espresso varie perplessità sul diritto processuale penale canonico, sentenzia come in alcuni casi «le garanzie di imparzialità e di tutela dell’accusato sono lasciate all’intervento miracoloso della divinità». I correttivi suggeriti sono basati sulla preoccupata persuasione che «L’ordinamento non riuscirà mai infatti a convincere (ad accettare, forse sì, nei casi di santità) qualcuno della illiceità del proprio comportamento, quando contemporaneamente lo prevaricherà nel giudizio» (ivi, p. 163).

[10] Cfr., ad esempio, Carlo Gullo, Celerità e gratuità dei processi matrimoniali canonici, in La giustizia nella Chiesa: fondamento divino e cultura processualistica moderna, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1997, p. 238: «Se un patrono si comporta scorrettamente, il giudice non deve né può farsi condizionare da motivazioni extraprocessuali e deve quindi intervenire a norma di legge, con la massima energia. Il problema è che talvolta il giudice è fermato nella sua azione dal fatto che ritiene che il patrono sia più preparato di lui giuridicamente e quindi, ricorrendo, non solo riesca a far perdere altro tempo, ma anche a fargli fare una brutta figura presso gli organi superiori»: «Non sta scritto da nessuna parte che, per motivare una sentenza, si debba scrivere una monografia giuridica o, peggio ancora, improvvisarsi “orecchianti” di psichiatria» (ivi, p. 239, nota 22). Più volte ha denunciato la tentazione di «“piazzare in un posto di lavoro” i propri parenti, amici ed amici degli amici», cioè «il rischio del nepotismo ed anche peggio: non posso far passare, solo perché io lo affermo, il mio barbiere o anche un avvocato civile o un vecchio giudice civile in pensione per persona “veramente perita” in diritto canonico. A questo termine bisogna dare un contenuto preciso e stretto: veramente perito può considerarsi soltanto il docente delle università civili o ecclesiastiche e, al limite, anche quello degli Istituti Superiori religiosi» (Idem, Avvocati liberi professionisti, cit., p. 150).

[11] Dopo aver descritto il trattamento che nell’ordinamento canonico si riserva all’avvocato privato, Carlo Gullo, Avvocati liberi professionisti, cit., p. 154, così concludeva il suo articolo: «L’avvocatura privata ha diritto (sulla carta) di esistere […]. È il diritto più grande che l’uomo possa avere. Cosa si vuole di più?».

[12] Cfr. Carlo Gullo, Celerità e gratuità, cit., p. 230, nota 4: «È però vergognoso che, perfino nel nostro ambiente, capiti di leggere che qualcuno cerca di estorcere denaro minacciando di fare appello in Rota contro sentenze “Affermative”, quasi che questo Tribunale sia il “porto delle nebbie”, dove le cause si insabbiano per anni per essere poi, con forti probabilità, decise “negativamente” e quelli Regionali siano ispirati ad un dilagante lassismo. A parte il carattere estorsivo e l’inammissibile aprioristica sfiducia di questi soggetti nei confronti dell’amministrazione della giustizia canonica, qui siamo ai confini del vilipendio e meraviglia che non si sia a conoscenza di provvedimenti disciplinari». E ancora contro gli avvocati che fanno ostruzionismo: «Si deve evitare […] che, approfittando del fatto che il nostro è un ambiente piccolo, in cui ci si conosce quasi tutti, ci siano delle persone che presumono di poter contare sul fatto che – alle strette – il giudice non prenderebbe provvedimenti disciplinari nei loro confronti. [E questa presunzione sembra abbastanza fondata perché i provvedimenti disciplinari sono quasi inesistenti, ciò che può avere solo un duplice significato: a. non si ha coraggio di prenderli, proprio perché ci si conosce tutti personalmente; b. la classe forense canonica è così corretta deontologicamente che non c’è stato (quasi) mai bisogno di ricorrere a questi mezzi. Ora, che la nostra classe forense nel suo complesso sia dotata di un’ottima deontologia professionale, è fuori discussione; ma che tutti siano sempre così corretti da non indulgere mai ad ostruzionismo, sarebbe forse un po’ esagerato sostenerlo. L’esperienza insegna che non è così]. Forse un uso più frequente del disposto del can. 1487, che consente al giudice la rimozione del patrono dall’incarico, per gravi cause (e tale certamente è l’ostruzionismo), oltre alla condanna della parte ad un adeguato pagamento delle spese processuali, consentirebbe di arginare questa piaga» (ivi, pp. 236-237, anche in nota 17).

[13] Cfr. Carlo Gullo, Celerità e gratuità, cit., p. 231 sgg.

[14] Carlo Gullo, Celerità e gratuità, cit., p. 233. Sempre Gullo osservava, nel 1998, in Avvocati liberi professionisti, cit., pp. 142-143: «Le nuove normative hanno finito per ingenerare, non solo nei fedeli, ma anche nei Giudici e perfino nei Vescovi l’opinione che la dichiarazione di nullità (rispetto alla sentenza “pro vinculo”) va considerata con favore perché risolve un problema (permette di riconciliarsi con la Chiesa ecc.), che non è un buon cristiano chi si oppone ad essa (il convenuto o lo stesso D.V.) o non è pastorale il giudice che non la concede, che non è un buon pastore il Vescovo che non ammette al matrimonio il cristiano che non abbia ottenuto (o addirittura non abbia neppure domandato) la dichiarazione di nullità del matrimonio».

[15] Carlo Gullo, Celerità e gratuità, cit., p. 234.

[16] Cfr. Carlo Gullo, Avvocati liberi professionisti, cit., p. 142.

[17] Cfr. Carlo Gullo, Futuro, natura e assetto, cit., p. 357.

[18] Carlo Gullo, Avvocati liberi professionisti, cit., p. 146.

[19] Carlo Gullo, Celerità e gratuità, cit., p. 244.

[20] Morte che pure Gullo, proclamandola, esorcizzava; scriveva infatti nel 1998, «La verità è un’altra e cioè che il processo canonico è morto…e non ce ne siamo ancora accorti. [A parte i processi che esistono solo sulla carta, per completezza del sistema legislativo (mi riferisco al processo penale o a quello “ordinario”, quasi del tutto inesistenti nella prassi quotidiana), il processo amministrativo non è mai decollato (è infatti significativo che, per tutta la Chiesa, l’unico Tribunale amministrativo esistente non faccia più di una ventina di decisioni all’anno) (…) e quello matrimoniale va a scomparire]» (Carlo Gullo, Avvocati liberi professionisti, cit., p. 142, anche in nota 4).

[21] Carlo Gullo, Futuro, natura e assetto, cit., p. 355, riconosceva: «Se quindi parliamo dell’assetto della figura dell’avvocato canonico, è solo perché riteniamo che questi modelli […] e queste disfunzioni […] siano prese in considerazione solo perché da combattere in quanto forme di grave patologia dell’amministrazione della giustizia».

[22] Cfr. Carlo Gullo, Il metus ingiustamente incusso nel matrimonio in diritto canonico, Napoli, M. D’Auria, 1970.

[23] Cfr. Carlo Gullo, Note minime in tema di frigidità, «Il diritto ecclesiastico», XCIII, 1982, II, pp. 48-52.

[24] Cfr. Carlo Gullo, L’umiltà del ripensamento: la giurisprudenza c. Felici nelle cause di impotenza, in Diocesi Suburbicaria di Velletri-Segni, Coram Felici, a cura di Andrea Chiarelli, Ugo Meucci, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2005, pp. 172-193.

[25] Cfr. Carlo Gullo, Sulla nullità del matrimonio per incapacità di educare la prole, «Il diritto di famiglia e delle persone», IX, 1980, pp. 1088-1099.

[26] Cfr. Carlo Gullo, Defectus usus rationis et discretionis judicii (can. 1095, 1°-2° cic), in L’incapacitas (can. 1095) nelle «sententiae selectae coram Pinto», a cura di Piero Antonio Bonnet, Carlo Gullo, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1988, pp. 7-30.

[27] Carlo Gullo, Error qualitatis rendundans in errorem personae, «Il diritto ecclesiastico», XCII, 1981, I, pp. 323-359; Idem, Note minime su retroattività e rapporto fra par I e II del can. 1097 C.J.C., ivi, XCVII, 1986, II, pp. 356-366.

[28] Cfr. Carlo Gullo, Il problema della retroattività o meno della norma riguardante il matrimonio condizionato (can. 1102 § 1 CIC e can. 826 CCEO), in Diritto matrimoniale canonico. Il consenso, a cura di Piero Antonio Bonnet, Carlo Gullo, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2003, pp. 475-484.

[29] Cfr. Carlo Gullo, Riflessioni sulla retroattività del can. 1098, «Ius Ecclesiae», IV, 1992, pp. 225-234.

[30] Cfr. Carlo Gullo, Territorialità della giurisdizione patriarcale e difetto di forma nel matrimonio canonico dei fedeli appartenenti alle Chiese orientali, «Il diritto ecclesiastico», CII, 1991, II, pp. 203-213.

[31] Cfr. Carlo Gullo, Il divieto di passare a nuove nozze, «Ephemerides iuris canonici», XLVII, 1991, pp. 189-197.

[32] Cfr. Carlo Gullo, Roberto Palombi, La procedura presso il Tribunale della Rota Romana, in Le “normae” del Tribunale della Rota Romana, a cura di Piero Antonio Bonnet, Carlo Gullo, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1997, pp. 165-212; Carlo Gullo, Questioni sulla liceità delle prove nelle cause matrimoniali, in Ius Canonicum in Oriente et Occidente. Festschrift für Carl Gerold Fürst zum 70. Geburtstag, a cura di Hartmut Zapp, Andreas Weiß, Frankfurt, Peter Lang, 2003, pp. 865-877; Idem, La prova nel contenzioso amministrativo, in La giustizia nell’attività amministrativa della Chiesa: il contenzioso amministrativo, a cura di Eduardo Baura, Javier Canosa, Milano, Giuffrè Editore, 2006, pp. 363-382; cfr. anche Idem, Il giusto processo amministrativo ed il rigetto e limine del ricorso alla c.d. Sectio altera del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica (artt. 73-84 NSSTSA), in Iustitiam et iudicium facere. Scritti in onore del Prof. Don Sabino Ardito, SDB, a cura di Jesu Pudumai Doss, Markus Graulich, Roma, Las, 2011, pp. 189-204.

[33] Cfr. Carlo Gullo, Diritto di difesa o difesa del diritto?, «Il diritto di famiglia e delle persone», VI, 1977, pp. 294-328; Idem, Il diritto di difesa nelle varie fasi del processo matrimoniale, in Il diritto alla difesa nell’ordinamento canonico, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1988, pp. 29-50; Idem, Le ragioni della tutela, cit., pp. 145-164.

[34] Cfr. Carlo Gullo, Brevi note sulla gravità della “causa” necessaria per ridurre la chiesa ad uso profano, «Il diritto ecclesiastico», CVIII, II, 1997, pp. 7-11. Nel saggio Il Decreto Generale della C.E.I. sul matrimonio ed il principio di sussidiarietà, «Monitor ecclesiasticus», CXVIX, 1994, pp. 95-102, Gullo si soffermava sul problema se il principio di sussidiarietà fosse stato o no incluso tra i principi fondamentali cui si è ispirato il Codex Iuris Canonici del 1983, ovvero se comunque ne siano in esso stati recepiti i contenuti essenziali e in quale misura; tra l’altro, riguardo proprio al Decreto di cui al titolo del saggio, concludeva – anche qui esprimendo senza filtri il suo pensiero – che esso «con soluzioni spesso condivisibili, a volte (specie in tema processuale) a mio avviso poco soddisfacenti, è certamente applicazione del principio di sussidiarietà, anche se questo è un principio, importante sì, ma non fondamentale della legge canonica».

[35] Cfr. alcune considerazioni in Carlo Gullo, Interpretazione evolutiva o evoluzione della legge. Contributo alla teoria dell’interpretazione nel diritto canonico, «Ephemerides iuris canonici», XXVI, 1970, pp. 352-376.

[36] Giuseppe Dalla Torre, Necrologio di Piero Antonio Bonnet, in Annali di diritto vaticano 2018, a cura di Giuseppe Dalla Torre, Gian Piero Milano, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2018, pp. 236-237.

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