Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 17 luglio 2014, n. 16379
No alla delibazione della sentenza canonica di nullità matrimoniale se c’è stata convivenza per tre anni
La massima: La convivenza coniugale che si sia protratta per almeno tre anni dalla data di celebrazione del matrimonio concordatario, crea una situazione giuridica disciplinata da norme costituzionali, convenzionali e ordinarie di ordine pubblico italiano, che sono fonti di diritti inviolabili, di doveri inderogabili, di responsabilità, anche genitoriali, e di aspettative legittime tra i componenti della famiglia. Pertanto, non può essere dichiarata efficace nella Repubblica Italiana la sentenza definitiva di nullità di matrimonio pronunciata dal Tribunale ecclesiastico per qualsiasi vizio genetico accertato e dichiarato dal giudice ecclesiastico per contrarietà all’ordine pubblico interno italiano. La relativa eccezione deve però essere sollevata dalla parte nel giudizio di delibazione a pena di decadenza.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza 17 luglio 2014, n. 16379, risolve un contrasto giurisprudenziale che si era formato in seno alla prima sezione, in merito alla possibilità di riconoscere come efficace la sentenza di nullità del matrimonio canonico nonostante la lunga durata di esso e quindi il lungo decorso di tempo dal momento in cui ha avuto luogo la causa invalidante.
Il caso riguarda una coppia che aveva celebrato matrimonio concordatario nel 1998 e dall’unione era nata una figlia. Il Tribunale ecclesiastico aveva dichiarato nullo il matrimonio “per esclusione dell’indissolubilità del vincolo da parte della donna”, manifestata anche a terze persone tra cui lo stesso parroco durante il corso prematrimoniale, al quale la stessa dichiarò di essere atea e di accettare solo formalmente i precetti della chiesa. La Corte di Appello di Venezia aveva riconosciuto efficacia alla sentenza annullando il matrimonio, e contro tale atto ricorre in Cassazione il marito il quale sostenendo la contrarietà della sentenza canonica all’ordine pubblico interno italiano che manifesta il favor matrimoni e quindi privilegia la conservazione del rapporto (matrimonio-rapporto) rispetto alle cause invalidanti dell’atto, come la riserva mentale di un coniuge (matrimonio-atto), che restano sanate dal protrarsi del rapporto che ne è seguito.
La tesi del ricorrente si basa sull’opinione elaborata dalla Cassazione a sezione unite del 2008 cui si rifà un certo filone giurisprudenziale ed in particolare la sentenza n. 1343/2011 cui poi si è uniformata la successiva sentenza n. 9844/2012.
La donna invece richiama un altro orientamento della stessa Cassazione, tra cui la recente sentenza n. 8926/2012, secondo cui la perdurante convivenza tra i coniugi non è condizione ostativa alla delibazione della sentenza di nullità del diritto canonico.
La convivenza è un aspetto essenziale del matrimonio-rapporto e lo si ricava non solo dalla normativa nazionale (costituzione e leggi) ma anche dalle norme di diritto internazionale ed in particolare dell’Unione Europea. Lo svolgimento della vita matrimoniale ha come conseguenza il venire in esistenza di diritti inviolabili, doveri inderogabili, responsabilità e aspettative legittime dei membri della famiglia.
Ma qual è la durata minima del rapporto che occorre considerare? Le norme civili sulla decadenza delle azioni di annullamento del matrimonio parlano di coabitazione per un anno. La legge sull’adozione (l. n. 184/1983) consente ai coniugi uniti da almeno tre anni in matrimonio di fare richiesta di adozione. Il legislatore specifica che la stabilità del rapporto può essere desunta dall’aver convissuto in modo continuativo e stabile per almeno tre anni prima del matrimonio.
Anche la Corte Costituzionale, aveva in passato affermato l’esistenza del matrimonio non solo come atto costitutivo, ma come rapporto giuridico, ossia un “vincolo rafforzato da un periodo di esperienza matrimoniale in cui sia “perdurante” la volontà di vivere insieme in un nucleo caratterizzato da diritti e doveri”, considerando i tre anni successivi al matrimonio come requisito minimo presuntivo a dimostrazione della stabilità del rapporto (C. Cost. n. 281/1994).
Sulla base di atti e norme richiamate – art. 2, 3,29,30 e 31 della Costituzione, art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, art. 7 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché le norme del codice civile – la Corte, a composizione del contrasto giurisprudenziale in materia, enuncia il principio di diritto secondo cui la convivenza come coniugi, che si sia protratta per almeno tre anni dalla data di celebrazione del matrimonio concordatario, crea una situazione giuridica disciplinata da norme costituzionali, convenzionali e ordinarie di ordine pubblico italiano, che sono fonti di diritti inviolabili, di doveri inderogabili, di responsabilità anche genitoriali e di aspettative legittime tra coniugi e genitori e figli.
Pertanto, non può essere dichiarata efficace nella Repubblica Italiana la sentenza definitiva di nullità di matrimonio pronunciata dal Tribunale ecclesiastico per qualsiasi vizio genetico accertato e dichiarato dal giudice ecclesiastico dove vi sia stata la suddetta convivenza coniugale (art. 797 1° comma n. 7 c.p.c.).
L’eccezione d’inefficacia deve essere sollevata – specifica la sentenza – dalla parte nel giudizio di delibazione, non potendo essere rilevata d’ufficio né dal P.M. né dal giudice, e la parte deve dedurla a pena di decadenza in tale giudizio.
In questa sede il giudice potrà disporre una specifica istruzione probatoria sempre nei limiti del divieto del riesame nel merito della sentenza canonica.
Nel caso specifico però il marito ricorrente aveva sollevato tale eccezione soltanto nel giudizio di legittimità in Cassazione poiché nel processo per la delibazione in Corte d’Appello, si era difeso sostenendo che la riserva mentale della moglie sull’esclusione di uno dei bona matrimonii non era a lui nota e non era stata manifestata, ma tale ricostruzione non era stata suffragata dalle prove.
Pur riconoscendo che la durata del matrimonio, la nascita di una figlia e comunque la condotta tenuta dalla donna dopo il matrimonio, durato 11 anni, costituiscono ostacolo alla delibazione della sentenza canonica, la Cassazione respinge il ricorso.
(Nota a sentenza di Giuseppina Vassallo, da www.altalex.com)
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