Tribunali ecclesiastici italiani: come applicare il M.P. Mitis iudex?

iustitia

In Italia con il Motu proprio Qua cura, dato da Pio IX l’8 dicembre 1938, sono stati istituiti i Tribunali ecclesiastici regionali aventi competenza speciale esclusiva per trattare le cause di nullità matrimoniale.

Il Motu proprio Mitis iudex Dominus Iesus promulgato da Papa Francesco il 15 agosto 2015 ed entrato in vigore il successivo 8 dicembre riforma la materia già oggetto del Qua cura di Pio XI e consente di trattare anche le cause matrimoniali presso il Tribunale diocesano o presso un Tribunale viciniore o anche di costituire all’uopo appositi Tribunali interdiocesani.

In particolare su questo punto, il Rescritto del Pontefice del 7 dicembre 2015 “sul compimento e l’osservanza della nuova legge del processo matrimoniale” è chiaro nell’affermare che il M.P. Mitis iudex “abroga o deroga ogni legge o norma contraria finora vigente, generale, particolare o speciale, eventualmente anche approvata in forma specifica (come ad es. il Motu proprio Qua cura, dato da Pio XI in tempi ben diversi dai presenti)” (Punto I del Rescritto del 07.12.2015).

La normativa di riferimento è quindi oggi il can. 1673 del Codice di diritto canonico, come modificato dal M.P. Mitis iudex.

Can. 1673, § 1. In ciascuna diocesi il giudice di prima istanza per le cause di nullità del matrimonio, per le quali il diritto non faccia espressamente eccezione, è il Vescovo diocesano, che può esercitare la potestà giudiziale personalmente o per mezzo di altri, a norma del diritto.

§. 2. Il Vescovo costituisca per la sua diocesi il Tribunale diocesano per le cause di nullità del matrimonio, salva la facoltà per lo stesso Vescovo di accedere a un altro viciniore Tribunale diocesano o interdiocesano.

In materia di cause di nullità matrimoniale sembra dunque essere venuta meno la competenza degli attuali Tribunali ecclesiastici regionali italiani, all’uopo istituiti ai sensi del Qua cura di Pio XI. Anche queste cause infatti rientrano oggi nella competenza dei Tribunali diocesani. La norma tuttavia, come visto, lascia aperta la possibilità che i Vescovi decidano la costituzioni di appositi Tribunali interdiocesani per le cause matrimoniali. Questa potrebbe essere la strada maestra per confermare di fatto l’attuale organizzazione territoriale della giustizia ecclesiastica italiana, che ha dato nel tempo dimostrazione di efficienza e di buon funzionamento, pur evidentemente in un’ottica umana in cui tutto è sempre perfettibile.

Al momento tuttavia, sono diverse le prese di posizione delle Conferenze episcopali regionali sul punto.

In un comunicato del 15 gennaio 2016 della Conferenza episcopale lombarda si apprende che, dopo un confronto con il Vicario giudiziale Mons. Paolo Bianchi sulle conseguenze del Motu proprio sulle istituzioni giudiziarie ecclesiastiche, sulle cause in corso e sulle procedure da avviare, “i vescovi delle diocesi lombarde, al termine del dibattito, hanno deciso di restare affiliati al tribunale ecclesiastico regionale, con modalità da stabilire alla luce delle nuove disposizioni” (Comunicato 15.01.2016, qui il link).

Allo stesso modo si sono orientati i Vescovi della Conferenza episcopale marchigiana che, dopo la riunione del 20 gennaio, hanno diffuso un comunicato in cui “in attesa di ulteriori necessarie comunicazioni da parte della Santa Sede”, hanno deciso “di mantenere per ora il Tribunale Ecclesiastico Regionale tuttora regolarmente in funzione” (Comunicato 20.01.2016, qui il link).

In senso sostanzialmente analogo, sia pure ancor prima della pubblicazione del Rescritto del 7 dicembre che dichiarava sostanzialmente superata le circoscrizioni dei Tribunali regionali volute dal Qua cura di Pio XI, si erano determinati anche i Vescovi della Conferenza episcopale campana, “decidendo di avvalersi ancora dei Tribunali metropolitani esistenti (Napoli, Benevento, e Salerno)” (Comunicato 1 dicembre 2015, qui il link).

Anche “la Conferenza episcopale pugliese conferma l’intento di affidarsi al Tribunale Ecclesiastico Regionale” (Comunicato 07.12.2015, qui il link).

Quanto alla Conferenza episcopale sarda, in relazione ai processi matrimoniali ordinari “la competenza rimane per ora in capo al Tribunale Ecclesiastico Regionale Sardo (TERS), alla cui cancelleria va presentato il libello” (Comunicato 01.12.2015, qui il link).

Diversamente i Vescovi della Conferenza episcopale siciliana hanno ritenuto necessario per questa fase un ulteriore approfondimento e al momento viene segnalato che il Tribunale siculo non accoglie la presentazione di libelli per introdurre nuove cause di nullità matrimoniale, sebbene una simile circostanza possa seriamente configurarsi come un diniego di giustizia ricorribile in Segnatura.

Non sembra offrire adeguate risposte alla situazione nemmeno la Circolare della CEI, a firma del Segreatrio Mons. Nunzio Galantino, del 17 dicembre scorso (qui il link), che parla di “costituzione degli eventuali tribunali diocesani e interdiocesani per le cause matrimoniali”, dando atto del permanere di “alcune questioni aperte”, su cui ci si riserva di pronunciarsi in seguito.

Nonostante le diverse prese di posizione delle Conferenze episcopali regionali e la mancanza di indicazioni decisive della Conferenza episcopale italiana, l’interrogativo che ci si pone tuttavia è quello per cui, alla luce del nuovo can. 1673 novellato dal M.P. Mitis iudex e soprattutto del punto I del Rescritto del 07.12.2015 che ha espressamente dichiarato il superamento del M.P. Qua cura che istituiva i Tribunali ecclesiastici regionali, questi possano continuare ad esistere e funzionare.

In questi termini tuttavia la questione sembra non correttamente impostata. La sopravvivenza sic et simpliciter dei vecchi Tribunali regionali non sembra contemplata dalla riforma. Né tantomeno sembra ci sia spazio per una deliberazione delle Conferenze episcopali locali in questo senso.

Oggi in termini generali le cause matrimoniali, anche in Italia, competono al Tribunale diocesano. Salva la facoltà data dalla legge di istituire all’uopo specifici Tribunali interdiocesani, qualora per vari motivi si reputi più opportuno che più diocesi si mettano insieme per esercitare al meglio la funzione giudiziaria anche in questo delicato settore. Solo per questa via si possono costituire dei Tribunali interdiocesani, competenti per le cause matrimoniali, che abbiano in qualche modo la stessa competenza territoriale dei precedenti Tribunali regionali: in questo senso sembra però necessaria una esplicita dichiarazione congiunta dei Vescovi della regione, volta non tanto a “perpetuare” il vecchio Tribunale regionale, ma a far subentrare ad esso il Tribunale interdiocesano, che ne erediterebbe tutti i rapporti giuridici in atto.

Così le sedi, il personale, le cancellerie e soprattutto i giudici dell’ex Tribunale regionale passerebbero automaticamente, a seguito di espresso accordo dei Vescovi delle Conferenze episcopali regionali ai sensi del novellato can. 1673, §. 2, al “nuovo” Tribunale interdiocesano, senza soluzione di continuità dei rapporti in essere e senza nocumento o rallentamento al servizio della giustizia. L’idea della riforma è infatti evidentemente quella di semplificare e di rendere il Tribunale più prossimo alla parte e sarebbe paradossale se, per una errata interpretazione, la norma dovesse sortire l’effetto esattamente contrario a quello voluto e finanche espressamente dichiarato.

In tutto ciò, rimane la possibilità che la singola Diocesi prima legata ad un dato Tribunale regionale, per volontà del proprio Vescovo, non ritenga di confluire nella giurisdizione del “nuovo” Tribunale interdiocesano e voglia invece che la trattazione della cause matrimoniali sia fatta presso un proprio Tribunale diocesano. In questo senso nessun opponimento potrà essere opposto dalla Conferenza episcopale (né a livello locale, né a livello nazionale) perché ciò è ora espressamente consentito dalla norma generale (cfr. primo periodo can. 1673, §. 2, “che abroga o deroga ogni legge o norma contraria finora vigente”, compreso il Motu Proprio Qua cura: Punto I del Rescritto del 07.12.2015).

A questo proposito il M.P. Mitis iudex è chiarissimo nella scelta di voler responsabilizzare il Vescovo come giudice (Punto III) in sede locale nella propria Diocesi, sottolineando anche che le Conferenze episcopali debbano “rispettare assolutamente il diritto dei Vescovi di organizzare la potestà giudiziale nella propria Chiesa particolare” (Punto VI).

Evidentemente però, il Vescovo che costituisce un proprio Tribunale diocesano per le cause matrimoniali deve avere risorse sufficienti a garantire la funzionalità perlomeno minimale del Tribunale stesso, in termini di locali e strumenti, ma soprattutto per quanto riguarda giudici, cancellieri e operatori specializzati in grado di fornire un adeguato e soddisfacente servizio di giustizia. Nella consapevolezza, peraltro sottolineata decisamente dalla riforma, che se per le parti il processo deve tendere alla gratuità (“sia assicurata la gratuità delle procedure, perché la Chiesa, mostrandosi ai fedeli madre generosa, in una materia così strettamente legata alla salvezza delle anime manifesti l’amore gratuito di Cristo dal quale tutti siamo stati salvati”, Mitis iudex, Punto VI), dal punto di vista dei giudici, dei patroni e degli operatori della giustizia, che rendono un servizio altamente specializzato e per cui è richiesta una preparazione professionale di altissimo livello, va garantita una doverosa “giusta e dignitosa retribuzione” (ibid.): ciò per i Vescovi non può significare altro che la necessità di investire maggiori risorse finanziarie per i Tribunali.

Alla luce delle osservazioni fin qui svolte e anche della complessiva situazione in cui versavo i Tribunali ecclesiastici italiani in questo delicato periodo di transizione, si può affermare che le indicazioni per applicare correttamente la riforma devono necessariamente essere tratte in primo luogo dallo stesso testo normativo.

In questo senso sembra di poter indicare sinteticamente in modo riassuntivo i seguenti passaggi a da affrontare:

  • Ogni Vescovo nella sua diocesi deve verificare l’opportunità (e la possibilità pratica in termini di adeguata presenza di operatori e risorse strumentali e finanziarie) per devolvere ad un proprio Tribunale diocesano la trattazione delle cause matrimoniali
  • Qualora il Vescovo ritenga invece di confluire nella circoscrizione di un Tribunale interdiocesano, dovrà esprimere in modo espresso e attraverso un atto formale tale sua volontà
  • I Vescovi della regione possono accordarsi per costituire un Tribunale interdiocesano che abbia la stessa competenza territoriale del precedente Tribunale regionale (salva evidentemente la possibilità del singolo Vescovo di non aderire e costituire il proprio Tribunale diocesano). In questo caso, anche per garantire senza soluzione di continuità il servizio di giustizia, sarà bene specificare che il “nuovo” Tribunale interdiocesano succede in tutti i rapporti in atto in capo al precedente Tribunale “regionale”, in particolare per quanto riguarda il servizio dei giudici e degli operatori.

Sembra questa la via maestra per dare attuazione alla riforma voluta dal Papa, conservando – qualora i Vescovi in sede locale lo ritengano opportuno – la competenza, l’efficienza e le professionalità che i Tribunali ecclesiastici regionali italiani hanno saputo dimostrare.

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