Breve nota dei lavori del XLVII Congresso ASCAI a Udine

Udine

Approfondire il significato della riforma del processo matrimoniale per applicarla al meglio nella situazione dei tribunali ecclesiastici italiani: è stata questa la linea emersa al XLVIII Convegno nazionale dell’Associazione canonistica italiana che si è svolto a Udine dal 5 all’8 settembre 2016 proprio sulle novità introdotte dal Motu proprio ‘Mitis Iudex’ in tema di procedure per la dichiarazione di nullità matrimoniale. Certamente un merito della riforma è stato quello di aprire un ampio dibattito su temi prima confinati agli addetti ai lavori, coinvolgendo in prima persona i Vescovi nell’impegno e nella cura nei confronti dei tribunali ecclesiastici.

Da parte degli operatori nessuna volontà di ostacolare la riforma, ma di attuarla nel migliore dei modi. La riflessione speculativa e l’approfondimento su questi temi sono certamente utili, ma i Tribunali hanno bisogno di indicazioni chiare per l’attività concreta di amministrazione della giustizia. Per questo il confronto di Udine tra giudici, avvocati del foro ecclesiastico, rappresentanti del mondo accademico ed esperti si è focalizzato sugli aspetti pratici che la riforma comporta e sulla declinazione delle nuove norme operata dai diversi Tribunali ecclesiastici.

Non a caso, già nell’aprire il lavori del convegno con la relazione introduttiva il Card. Francesco Coccopalmerio è entrato subito in medias res. Il porporato, Presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi e componente della Commissione che ha elaborato la riforma, ha messo in guardia da due tentazioni: la prima è quella dei giudici ecclesiastici che volessero trovare od ogni costo una nullità matrimoniale per dare risposta ad un rapporto di coppia fallito; l’altra è quella dei Vescovi spinti a costituire comunque propri tribunali diocesani anche quando non avessero mezzi adeguati e personale competente. Il Cardinale ha sottolineato come il processo canonico è volto alla dichiarazione di nullità matrimoniale, non allo scioglimento del vincolo a al suo annullamento: è un processo pro rei veritate, che porta a constatare non ad ‘inventare’ una nullità. Come espressamente indicato nel Motu proprio di Papa Francesco, scopo della riforma è dare ‘disposizioni con le quali si favorisca non la nullità dei matrimoni, ma la celerità dei processi’.

Da questo punto di vista la riforma esige maggiore attenzione e responsabilità da parte di tutti gli operatori e delle strutture coinvolte nell’amministrazione della giustizia ecclesiastica, in particolare quando si tratta di celebrare i processi breviores previsti dalla nuova normativa.

Nei successivi interventi la riforma operata con il Motu proprio ‘Mitis iudex’ è stata esaminata secondo diverse prospettive. Mons. Markus Graulich, Sottosegretario del Pontificio consiglio per i testi legislativi e già Giudice del Tribunale della Rota, ha messo in luce la prospettiva storica, ripercorrendo il cammino delle riforme sulla materia da Benedetto XIV a Papa Francesco ed evidenziando come le leggi e le loro modificazioni nel tempo traducano in linguaggio giuridico i valori di riferimento per i fedeli.

Il prof. Massimo Del Pozzo, della Pontificia Università della Santa Croce, autore tra l’altro di una monografia sul nuovo processus brevior, ha parlato invece dell’impatto della riforma sul diritto processuale vigente, sottolineando come la riforma non riguarda solo sul modus procedendi nelle cause matrimoniali, ma incide anche sui principi strutturali del sistema processuale.

Il prof. Hector Franceschi, docente di diritto matrimoniale della stessa Università, ha voluto rimarcare come con la riforma non siano stati introdotti nuovi capi di nullità matrimoniale rispetto a quelli già previsti dal codice di diritto canonico, mettendo in guardia dal rischio che un’applicazione sbagliata della riforma possa offuscare il principio irrinunciabile dell’indissolubilità assoluta del matrimonio rato e consumato.

Sul sistema giudiziario e la sua riforma a seguito del ‘Mitis iudex’ ha parlato nella sua relazione il prof. Adolfo Zambon della facoltà di diritto canonico ‘San Pio X’ di Venezia, Vicario giudiziale del Tribunale triveneto, che ha condiviso l’idea di una interpretazione sistematica della riforma alla luce della Tradizione della Chiesa e del contesto in cui si inserisce. Zambon ha quindi messo a confronto le diverse tesi scaturite dall’interpretazione del Motu proprio non solo da parte della dottrina, ma anche a seguito degli interventi di diverse strutture che si sono espresse sull’argomento non sempre in maniera uniforme (Pontificio consiglio per i testi legislativi, Segnatura, CEI e Tribunali ecclesiastici). Ha sottolineato inoltre che la centralità del Vescovo quale giudice nelle cause matrimoniali non è una novità assoluta della riforma, ma riprende direttamente le previsioni generale del can. 1419 CIC. Quanto ai Tribunali locali, il Motu proprio prevede pacificamente i tribunali interdiocesani e non come una possibilità residuale e straordinaria.

Nella relazione della prof.ssa Elena Di Bernardo, docente presso la Pontificia Università Lateranense, sono stati trattati i profili relativi a problemi e criticità della nuova procedura del processo matrimoniale, ampliando lo sguardo anche in un’ottica comparatistica.

Particolarmente significativo è stato l’intervento del prof. Paolo Moneta, già docente di diritto canonico all’Università di Pisa, che ha parlato del ruolo dell’avvocato nel nuovo sistema delineato dalla riforma. Il tema come noto è particolarmente sentito dagli operatori ed interessa il primario diritto alla difesa delle parti. Moneta, se per un verso non ha nascosto alcune criticità derivate da una certa interpretazione del Motu proprio che potrebbero portare di fatto ad certo ridimensionamento del ruolo degli avvocati e ad una limitazione del diritto alla difesa delle parti, ha comunque voluto guardare con ottimismo al futuro, auspicando una rinnovata attenzione della Chiesa per il diritto canonico.

Il Convegno dell’Associazione canonistica ha rappresentato un importante momento di confronto tra le diverse situazioni che si sono determinate nei vari Tribunali ecclesiastici italiani a seguito dell’entrata in vigore della riforma, attraverso le comunicazioni tenute dai diversi Vicari giudiziali presenti.

L’attività del Tribunale piemontese, ha affermato don Ettore Signorile, ha continuato ad operare e non si è fermata a seguito dei cambiamenti normativi, per assicurare il diritto dei fedeli alla giustizia: mantenere la precedente circoscrizione del tribunale non significa affatto andare contro la riforma, ma tutelare professionalità e competenza che si sono dimostrate efficaci e funzionali per una ottimale amministrazione della giustizia.

Anche il Tribunale sardo ha proseguito la sua attività dopo la riforma, sebbene due diocesi (Nuoro e Lanusei) abbiamo manifestato la volontà di costituire in futuro propri tribunali diocesani. A Cagliari – ha comunicato mons. Mauro Bucciero – sono stai introdotti 5 processi breviores che sono stati vagliati dal Vicario giudiziale del Tribunale regionale.

Il Tribunale del Vicariato di prima istanza è pure andato avanti tranquillamente dopo l’entrata in vigore del Motu proprio, come riferito da don Luca Sansalone, anche se nel frattempo le diocesi di Rieti e Palestrina hanno costituito propri tribunali diocesani. Tutti i libelli introduttivi dei processi breviores nel Lazio sono introdotti direttamente a livello diocesano, senza transitare per il tribunale del Vicariato (salvo che per l’Urbe).

Svolge pienamente la sua attività anche il Tribunale abruzzese-molisano, dopo alcuni travagli che avevano segnato gli anni precedenti. Il Vicario giudiziale, don Antonio De Grandis, ha parlato di ‘tribunale itinerante’ in cui, per rispondere alle esigenze di prossimità espresse da Papa Francesco, i giudici si spostano per le istruttorie in tutto il territorio della circoscrizione di competenza. Ha sottolineato come il Tribunale regionale sia espressione della comunione tra le varie diocesi e sia in concreto per quel territorio lo strumento più idoneo per una migliore amministrazione della giustizia.

Anche il Tribunale calabro, ha riferito il Vicario Mons. Vincenzo Varone, ha tenuto in particolare considerazione le esigenza di avvinarsi alle parti che chiedono giustizia alla Chiesa prevedendo sette differenti sedi nel proprio territorio ove svolgere le istruttorie, potendo scegliere la parte quella più vicina senza bisogno di doversi recare presso la sede del Tribunale regionale. Peculiare la situazione di Cosenza, ove sono stati introdotti direttamente a livello diocesano diversi processi breviores.

Situazione in evoluzione anche presso il Tribunale siculo, come comunicato dal vicario Mons. Vincenzo Murgano. In un primo tempo, in attesa di maggiori indicazioni e per approfondire le conseguenze della riforma, la locale conferenza episcopale aveva dato indicazioni di non accettare più l’introduzione di nuovi libelli, limitando l’operatività del Tribunale regionale alle sole cause pendenti e fino al relativo esaurimento. Successivamente si è previsto di istituire una serie di Tribunali a livello diocesano e interdiocesano, ma nelle more il Tribunale regionale ha ripreso ad accettare e giudicare le cause introdotte. Da ultimo si prevedono tre Tribunali diocesani (Nicosia, Noto e Siracusa) e un unico Tribunale interdiocesano con competenza per le altre diocesi, che dovrebbe identificarsi con l’attuale Tribunale regionale.

Anche il Tribunale pugliese, ha riferito il Vicario aggiunto Mons. Paolo Oliva, sta applicando la riforma, ma ha visto confermata la propria operatività dalla conferenza regionale dei Vescovi, ritenendo maggiormente efficace un’unica struttura di riferimento che garantisce competenza e professionalità adeguata al servizio di chi si rivolge alla giustizia ecclesiastica.

Per il Tribunale triveneto, il Vicario Mons. Adolfo Zambon, nella sua relazione ha sottolineato l’importanza di valutare attentamente tutte le possibili conseguenze che discendono dalla scelta di costituire un Tribunale diocesano. La conferenza episcopale regionale ha peraltro confermato la competenza del Tribunale triveneto per tutte le cause di nullità matrimoniale.

Il Tribunale campano, ha riferito Mons. Erasmo Napolitano, ha registrato dopo la riforma un raddoppio del numero delle cause matrimoniali introdotte rispetto all’anno precedente, con l’introduzione peraltro di 22 processi breviores.

Il confronto sulla situazione dei Tribunali ecclesiastici si è poi aperto anche all’estero, con due interventi relativi alla situazione in Germania (Tribunale di Colonia) e negli Stati Uniti (Tribunale di Denver).

Alla chiusura dei lavori del Congresso Mons. Erasmo Napolitano, Presidente dell’Associazione canonistica italiana, ha espresso la sua soddisfazione per la partecipazione numerosa e attenta ai lavori di tutte le sessioni e per il livello del dibattito, che ha fatto emergere con chiarezza i rischi ma anche le potenzialità che si aprono per i tribunali italiani con l’applicazione della riforma.

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